lunedì 8 maggio 2023

U.F.O.

Classica serata di gennaio, temperatura alquanto rigida che sfiorava lo zero, alberi scossi da un gelido vento di tramontana, nuvoloni immensi che coprivano perennemente una pallida luna che a sua volta metteva in risalto i loro contorni, in lontananza temibili saette colpivano le mie pupille, mentre i miei timpani venivano messi alla prova da boati assordanti che promettevano niente di buono. La strada era pressoché deserta, vuoi per l'ora di cena, vuoi per il clima e vuoi anche per la zona in cui mi trovavo. A quel tempo abitavo a Crawley, nell'estrema periferia a sud di Londra, sulla strada che conduce a Brighton. Ritornavo da una riunione di lavoro a Londra, svoltasi al Gloucester Hotel. Stavo percorrendo un tratto di strada completamente buio quando nel prendere una curva a destra sentii il motore della mia macchina dapprima singhiozzare, poi fermarsi completamente, le luci si spensero, rimasi nel buio della notte in un tratto in cui la strada era accompagnata ai lati da una serie di rovi abbastanza alti. E proprio al di là di questi rovi notai improvvisamente venire una luce molto intensa, di un colore bianco candido. Pensavo di chiedere aiuto agli abitanti di quella casa per far ripartire la mia auto, così mi diressi verso quei rovi. Al posto di una casa mi trovai di fronte ad un grosso aggeggio di metallo mai visto prima, a forma ovoidale, di colore grigio metallizzato che poggiava su tre piedi, lunghi all'incirca un metro, sembrava un grosso pallone da rugby con due luci molto potenti sulle punte laterali. Pensai subito ad un elicottero che stava atterrando, ma scartai subito l'idea dal momento che non vidi le pale dell'elica ma soprattutto non si udiva il rombo del motore. Dopo un attimo di smarrimento mi venne da pensare ad un qualcosa di soprannaturale, ma non ebbi il tempo di andare oltre col mio pensiero che notai aprirsi una porta dalla quale fuoriusciva una luce abbagliante, di un bianco candido. Un potente fascio di luce colpì il mio corpo, e da quel momento non riuscii più a muovermi nè a parlare, ero come paralizzato, potevo solo osservare. Cominciai ad avere paura. Non saprei dire con esattezza se la paralisi della quale fui vittima fosse provocata da loro o fosse mera paura.
Dalla porta una scaletta si allungò fino a terra, e dopo pochi attimi ne scesero due individui che a definirli orrendi era dire poco. Corpo sottile, lunghe braccia, testa alquanto sproporzionata, ma quello che mi colpì furono i loro occhi, senza pupille e di un colore rosso scarlatto, che giravano intorno alla testa a 360. Cominciarono a dirigersi lentamente verso di me, puntandomi un faro che avevano sulle loro teste, simile a quelli dei minatori. Furono attimi di terrore, poi pian piano cominciai a calmarmi, dal momento che ebbi l'impressione che non avessero intenzioni bellicose e fossero fortunatamente innocui. Giunti a pochi centimetri da me cominciarono a scambiarsi dei bip, probabilmente stavano comunicando fra loro in un linguaggio che non mi era dato conoscere. Io fissavo i loro occhi inespressivi e quelle enormi teste che fuoriuscivano da una tuta color verde bottiglia, non avevano armi o qualcosa che potesse sembrare uno strumento bellico, e questo mi tranquillizzò non poco. Terminato il loro colloquio a furia di bip bip si posizionarono uno davanti e uno dietro di me e mi costrinsero a seguirli verso la scaletta che portava all'interno di quella che ormai avevo capito essere un'astronave, il fascio di luce che mi colpiva e che probabilmente era la causa della mia paralisi si interruppe e quindi potevo camminare di nuovo. La paura mi assalì nuovamente. Ora mi rapiscono - pensai - chissà in quale pianeta mi porteranno, che ne sarà della mia famiglia? L'interno dellastronave era illuminata a giorno, alle pareti una miriade di monitor e di luci che si accendevano e spegnevano in continuazione. Adagiati su delle poltrone di fronte ad una specie di cruscotto con centinaia di altre luci c'erano altri tre omini intenti a dialogare a suon di bip bip, mentre i miei due angeli custodi mi accompagnarono verso il lato opposto della sala in direzione di un tavolo simile a quelli che avevo visto nelle sale operatorie durante i miei non pochi interventi chirurgici. In quel preciso momento avevo il cuore in gola. Adesso mi sezionano, mi getteranno nel prato e ritorneranno nella loro galassia, pensai mentre dei lacrimoni iniziavano a scendermi sulle guance pallide. A quel punto feci l'unica cosa obiettiva da fare, chiusi vigliaccamente gli occhi. Ero in balia dei loro bip bip, mi aspettavo da un momento all'altro il colpo fatale, anzi speravo venisse al più presto così sarebbe finita questa massacrante agonia. Ci furono alcuni secondi di silenzio dopo i quali sentii alcuni colpi sulla spalla destra. Uno, due, tre colpi, poi al posto dei bip una voce: John, John, alzati, sono le sette, devi andare al lavoro. Aprii gli occhi, ero nella mia camera da letto. Feci un salto acrobatico e raggiunsi mia moglie che nel frattempo era tornata in cucina a preparare la colazione. La baciai e l'abbracciai fortemente. Come mai? mi chiese sorpresa. Niente, amore. Sono felice.

sabato 6 maggio 2023

Gli occhiali greci

Teatro Romano di Ostia antica, gioiello dell’età Augustea e fiore all’occhiello degli omonimi scavi famosi in tutto il mondo. Molto ben conservato e per questo ancora oggi tempio di manifestazioni teatrali, canore e quant’altro durante i periodi estivi. È proprio in alcune di queste manifestazioni teatrali che, negli anni 60 o su di lì, capitava non di rado che fosse necessario, da parte degli organizzatori, reperire delle comparse per delle piccole apparizioni mute in scena. Noi ragazzetti dell’epoca durante il periodo di queste programmazioni stavamo sul chi va là all’ingresso degli scavi con la speranza che potesse esserci l’occasione di guadagnare qualche migliaio di lire e spesso accadeva, come quella volta che cercavano alcuni ragazzi che impersonassero soldati dell’antica Grecia. Io fui tra i fortunati che vennero scelti insieme ad altri tre amici. Non era niente di impegnativo, al momento opportuno bisognava entrare in scena per un paio di minuti vestiti da soldati greci con delle specie di lance in mano per arrestare un personaggio di cui non ricordo il nome, interpretato magistralmente dall’attore dell’epoca Vittorio Congia, persona squisita e simpaticissima. Eravamo al contempo spaesati, timidi e divertiti dietro le quinte, essere vicini agli attori che vedevi al cinema o in televisione non ci sembrava vero e ci saremmo rimasti per cinque serate, tante erano le repliche di quella commedia.Venne il momento di entrare in scena, la prima aveva portato molti spettatori sulle gradinate del teatro, complice anche una tiepida e gradevole serata di agosto. Ci diedero istruzioni sul come e quando entrare sul palco, ci disposero in fila indiana e da lì a breve saremmo entrati, quando all’improvviso sentimmo una voce dietro di noi alquanto stizzita che diceva: “Aoh… ma 'ndo cazzo vai!?” Ci girammo di colpo, era lo scenografo che veniva verso di me con uno sguardo non proprio amichevole. “Ci hanno detto di metterci qui pronti per entrare, perché?” Risposi alquanto impaurito da quegli occhi fuori dalle orbite. Lo scenografo mi prese il braccio e, alzandomelo davanti agli occhi, continuò stizzito: “ Ma secondo te gli antichi greci avevano l’orologio e gli occhiali? Vai a toglierli immediatamente!” Rimasi come uno stupido a guardare l’orologio e a toccarmi gli occhiali, mentre i miei amici se la ridevano a crepapelle prendendomi in giro: “Già che c’eri potevi entrare in scena in giacca e cravatta, ah ah ah.” Mi dissero perculandomi. Bastardi

venerdì 5 maggio 2023

Disfunzione erettile

Il mio lavoro di informatore medico scientifico mi ha portato negli anni a trattare farmaci per diversi tipi di patologie, come antibiotici, induttori del sonno, ansiolitici, antidepressivi e quant’altro. Negli anni ’90 l’azienda farmaceutica per cui lavoravo mise a punto un farmaco che risollevò il morale e le speranze ad una gran parte del genere umano, vale a dire noi maschietti, il Caverject. Era un farmaco prettamente per la popolazione maschile, in quanto aveva come indicazione la “disfunzione erettile”, cioè l’incapacità dell’uomo di ottenere e/o mantenere una sufficiente erezione del pene per un rapporto sessuale completo. Era un farmaco rivoluzionario che fece tornare il sorriso a molte persone, sia uomini che donne, aveva però un difetto, si doveva iniettare tramite una puntura sul pene. Molte persone quando sentivano parlare di una puntura “lì” facevano una smorfia di dolore e si toccavano le parti basse facendo capire che non l’avrebbero mai fatta, altre invece non davano importanza alla cosa ed erano ansiosi di provare questo farmaco da sogno. Nei mesi prima della immissione in commercio del Caverject ci fu uno sfruttamento mostruoso di questo farmaco da parte degli urologi e andrologi. Il farmaco originale si chiamava Prostin VR ed era indicato per tutt’altra patologia e con una fiala questi specialisti erano in grado di preparare circa venti dosi di caverject che poi iniettavano personalmente a chi ne faceva richiesta, potete quindi immaginare quanto veniva a costare un rapporto sessuale con la propria partner. Mi capitò di assistere ad una scena comicissima in uno studio medico di Civitavecchia. Ero in attesa di essere ricevuto da un urologo per parlare di Caverject quando all’improvviso si aprì la porta ed il paziente cominciò a correre fuori come un forsennato scendendo le scale a tre a tre, pensai che fosse successo qualcosa tra lui e il medico ed ebbi un po’ di timore ad entrare, ma una volta entrato l’urologo mi spiegò tutto con il sorriso sulle labbra. Aveva appena iniettato sul pene di quel signore una dose di Caverject, e siccome l’efficacia del farmaco iniziava dopo circa cinque-dieci minuti e abitando il paziente un pochino distante dallo studio medico, correva come un centometrista per arrivare a casa e iniziare un rapporto sessuale con la propria moglie. Un altro aneddoto riferitomi da un medico fu di quel signore che aveva un appuntamento con la sua amante alle 15.30 e pensò bene di farsi fare una puntura di Caverject cinque minuti prima per trovarsi pronto al suo arrivo. Sfortuna volle che la signora ebbe un imprevisto con la sua macchina e telefonò all’ amico per dirgli che non sarebbe andata. Questi disperato chiamò telefonicamente il medico dicendogli:<< Dottore, lei mi fatto una puntura di Caverject e la mia amica non può più venire, che devo fare ora?>> Il medico ridendo gli rispose: << Sbattilo al muro!>> Poi seriamente gli disse che non sarebbe successo niente se non che aveva sprecato un fiala del farmaco e doveva arrangiarsi da solo se avesse voluto. Per non parlare poi della moltitudine di medici che mi facevano richiesta di campioni di questo farmaco aggiungendo immediatamente “guarda che non è per me, ho un amico che ha di questi problemi”. Da quel momento ho scoperto che una quantità considerevole di amici dei medici avevano problemi di erezione!!!!!!!!!! Ah…l’amicizia!

giovedì 4 maggio 2023

Veglione di Capodanno 1970

Veglione 1970, Saint Vincent. Il locale dove si svolgeva il cenone di fine anno era il “Polo Nord”, avevamo prenotato l'ingresso per il dopo cena in quanto non avevamo la disponibilità economica per il classico cenone, questo l'avremmo consumato tutti insieme a casa di Paolo a base di spaghetti alla carbonara e pizzaiola. La temperatura si era abbassata di molto, eravamo abbondantemente sotto i zero gradi, la colonnina di mercurio appesa all'ingresso della tabaccheria di via Chanoux segnava - 22, il naso e le orecchie pizzicavano, le strade erano deserte, non poteva essere altrimenti visto che la neve si era tramutata in ghiaccio e si faceva fatica a camminare, non si vedeva più il candido paesaggio bianco dei primi giorni di neve se non sulle montagne e sui tetti delle case ma nelle strade ormai era presente un misto di ghiaccio e terra di uno schifoso color marrone dovuto al passaggio dei veicoli che sinceramente cominciava a rompere i coglioni.Trascorremmo il pomeriggio chiusi al calduccio della casa di Paolo in attesa della cena e di recarci al locale. Gustammo un cicchetto di ottima grappa casalinga con le note della canzone “Per una lira” del grande Lucio Battisti e giocando a carte per ammazzare il tempo fino all'ora stabilita per recarci al locale.Improvvisamente Claudio tirò fuori dalla tasca un porta pasticche. - Ragazzi, guardate cosa ho portato con me, qualcuno ne vuole una? Ci disse mentre l'apriva. Al suo interno c'erano delle piccole pillole bianche.- Che cosa sono? Chiedemmo incuriositi. - Pasticche di simpamina - rispose Claudio - per tenerci svegli tutta la notte, così ci godremo il Capodanno per intero, arriveremo tranquillamente all'alba senza stancarci. - Ma che è, droga? Chiedemmo impauriti. - Ma quale droga! Sono pillole che ti danno un po' di energia -, ribatté Claudio, - se ne volete ci sono per tutti. - Ma non ci faranno male? - Chiesi. - Le ho già prese diverse volte e sono ancora qui -, disse Claudio. Guardavamo quelle pillole come fossero bombe a mano, non volevamo metterci nei guai e magari perdere la fiducia dei nostri genitori. Alla fine qualcuno si lasciò convincere e le prese. Consumammo in fretta i nostri spaghetti alla carbonara cucinati sapientemente da Speedy e le nostre pizzaiole dopodiché cominciammo a prepararci per il ballo. All'ora stabilita eravamo tutti all'ingresso del Polo Nord, un bel gruppetto, noi venuti da Roma e amici e amiche del luogo, tutti incappottati e muniti di sciarpe e zucchetti. Dall'interno del locale proveniva un vociare di gente e note musicali, la festa era già cominciata. Entrammo ordinatamente e ci dirigemmo verso i tavoli a noi assegnati, ci mettemmo in libertà da cappotti, sciarpe, zucchetti e quant'altro e iniziammo a prendere confidenza con l'ambiente. C'erano molti ragazzi della nostra età, molte famiglie e qualche nonnetto dall'aspetto arzillo, anche il gruppo musicale che suonava era abbastanza giovane. Erano quattro ragazzi più o meno della nostra età, a prima vista dall'aspetto molto antipatico e che si rivelò tale nel prosieguo della serata. Alcuni di noi si gettarono nella mischia e cominciarono a ballare come forsennati, altri preferirono rimanere al tavolo ed osservare quel che succedeva intorno, mentre alcuni cominciarono a girare per la sala in cerca del famoso “acchiappo”. Si entrò ben presto nel vivo della festa, la gente si scatenava sempre più man mano che si avvicinava la mezzanotte ma anche perché faceva incetta di vino, birra e quant'altro, non c'era tavolo ove non ci fosse una bottiglia di grappa o Genepy. Speedy in un momento di relativa quiete mi disse: - Lo sai che questi che suonano sono proprio antipatici? Ma chi se credono di essere? - Se sentono fighi perché c'hanno quattro corde tra le mani - risposi io - gliele metterei al collo le corde. - - Ora te li sistemo io, vieni con me. - disse Speedy dirigendosi verso il bar. - Mo che te devi inventa'? Nun famo cazzate che qui ce pìano a calci. - risposi seguendolo preoccupato. Giunto al bancone chiese cortesemente al barista alcune fette di limone, il quale gentilmente gliele offrì in un piattino e ringraziandolo ce ne ritornammo al nostro tavolo. Remo e Arcangelo ci guardarono stupidi vedendoci maneggiare le fette di limone. - Perché avete quei limoni? - chiese Remo - avete ordinato qualcosa da mangiare? - - No, No - rispose Speedy - adesso ci divertiamo, andremo davanti al palco e cominceremo a succhiare queste fette di limone guardando in faccia quelli che cantano, magari mimando qualcosa di veramente aspro da far raggrinzare tutti i muscoli della faccia. - - Bellissimo - gridò Arcangelo - voglio proprio vedere che faccia faranno. Io ci sto. - - Ma così rischiamo di farli smettere di cantare, succederà un casino. - Esclamò Remo preoccupato ma nel contempo divertito. - - E che ci possono fare - continuò Speedy - mica è vietato mangiare i limoni, andiamo. - e facendosi largo tra la gente che ballava si diresse verso il palco. Ci disponemmo in posizione strategica per il nostro piano, alcuni ai lati del palco, altri al centro in posizione frontale e ad un segno convenuto iniziammo a succhiare le fette di limone al cospetto del gruppo musicale che stava cantando, facendo le smorfie più incredibili e mimando l'asprezza del nobile agrume. I musicisti cominciarono ad impallidire, le loro facce si sconvolsero al punto che furono costretti a guardare da tutt'altra parte piuttosto che verso la sala, qualcuno steccò qualche nota musicale così come il cantante che nel frattempo si era rivolto verso il batterista per non vederci, volgendo le spalle alla sala. Fu a quel punto che decidemmo di smettere per evitare che accadesse qualcosa di poco simpatico con i gestori del locale che già si erano allertati. Ritornammo quindi al nostro tavolo sbellicandoci dalle risate. - Così imparano a fare gli stronzi - disse Speedy ridendo, con lo sguardo rivolto verso il palco e incrociando gli occhi “avvelenati” dei quattro musicisti.