giovedì 11 settembre 2014

Giulia e il professore

 Un altro splendido racconto di Domenico "Mimmo" Macrì da Saint Vincent (AO)



Mi chiamo Giulia e faccio la puttana. Cioè, non è che faccio la puttana per vivere e questo sia il mio lavoro, no. Faccio la puttana perché ho 23 anni e quello che tiro su mi serve per pagarmi l’università cui sono iscritta da anni. Facoltà di Lettere e Filosofia. Quest’anno, se tutto va bene, dovrei laurearmi spero a pieni voti. Ho in affitto un bilocale, ordinato, pulito perché ci tengo, dove ricevo la mia clientela che, va detto, scelgo con cura. Sarò magari un po’ classista o forse semplicemente un po’ snob ma non mi interessano operai squattrinati, studenti o, più semplicemente, gente brutta. Faccio la puttana perché due anni fa ho perduto in un incidente d’auto tutti e due i miei genitori che fino ad allora mi avevano mantenuto, tra mille difficoltà e rinunce. Mi sono quindi trovata da sola ad affrontare prima il mondo e poi gli studi. Ho messo da parte orgoglio, dignità e morale e dal momento che volevo fortemente arrivare alla laurea ho deciso che per guadagnarmi da vivere e studiare la via più breve e (sicuramente) più remunerativa fosse questa. Sia chiaro, non è che mi presento ai clienti così come sono. Per motivi ovvi preferisco “trasformarmi” in ciò che, tutto sommato, gli uomini vogliono. Una lunga parrucca riccia dal colore rosso copre ogni volta la mia corta capigliatura. Un trucco leggermente più pesante altera al punto giusto i miei tratti somatici. Per completare l’opera addirittura mi metto delle lenti a contatto verdi che nulla hanno a che vedere con lo scialbo colore marrone dei miei occhi. E naturalmente tolgo gli occhiali da miope quale sono. Voilà, Giulia “due” è pronta. Giulia 2 che si presenta agghindata in modo sfacciatamente erotico (per non dire pornografico) supportata anche da un fisico che, bisogna dirlo, è niente male, vestita solo di una vestaglia trasparente che con un soffio vola via. Il mio numero di telefono, dato una prima volta ad un imprenditore conosciuto (volutamente) in un bar tanto tempo fa è passato di mano in mano. Da uomo a uomo. E’ cominciato così. Ho un sistema per fare la cernita della clientela. Alla prima chiamata di chi non conosco dò appuntamento in un certo luogo, sempre diverso, chiedendo al potenziale “cliente” di aspettare lì. Poi gli passo accanto come Giulia 1. Valuto e se mi va richiamo io e fisso l’incontro. Facile. Tempo fa ricevetti la chiamata di uno. Dalla voce sembrava una persona normale anche se non è certo la voce a fare di una persona una persona normale per come la intendo io. Quindi solita prassi. Il professor Dalbon seduto sulla panchina del parco che telefonicamente gli avevo indicato era lì che aspettava guardandosi distrattamente attorno. Il professor Dalbon che va a puttane. Da non credere. Il professor Dalbon è sui cinquanta, bell’uomo (tutte le studentesse sono invaghite di lui e ad onor del vero devo dire che pure a me piace assai),cattedratico di fama e, dicono, gran brava persona. Non mi sembrava vero. Avrei avuto tutto per me il più bel professore dell’ateneo (anche se a pagamento) e peccato non poterlo raccontare alle altre studentesse. Però il professor Dalbon è soprattutto il mio docente di Filosofia. Quello da cui, in parte, dipenderà la mia laurea. E mi conosce. Cioè mi conosce chiaramente come Giulia 1. Non vista, lo vedo lì sulla panchina. Quindi, penso, o passargli davanti come per caso e aspettarsi di essere riconosciuta, quindi magari fermarsi per le consuete quattro chiacchiere, o telare e ciao. E dopo? Farlo chiamare da Giulia 2 nella speranza di non essere riconosciuta o mandare tutto a ramengo? Poi penso ai soldi. Mi servono. Chiamo. Tra un’ora da me così avrò tutto il tempo di mutarmi in Giulia 2. Quando arriva apro la porta e quasi mi fa un inchino (signore). Mi sembra un po’ a disagio ma dò la colpa al mio abbigliamento, diciamo, osè. Lo faccio entrare, gli indico il comodo divano su cui sedersi, gli chiedo se vuole bere qualcosa. Grazie sì, magari se c’è un goccio di whisky. C’è. Mi siedo sul bracciolo accanto a lui facendo intravvedere una coscia che come per caso si è scoperta. In genere già solo gli occhi dell’uomo di turno a questa studiata mossa si illuminano. I suoi no. Rimangono fissi sul bicchiere che sta sorseggiando. E non parla. Non dice niente. L’imbarazzo a questo punto mi pervade. In genere dopo i convenevoli di rito ognuno sa qual è la sua parte fino al “saldo”. Qui nulla si muove. Quando dopo parecchi minuti volge verso di me il suo viso noto che ha un po’ l’aria afflitta. L’aria di chi non sa da che parte cominciare. Insomma di uno che non è mai stato con una prostituta. Non che sia la prima volta che mi capita e in questi casi bisogna (ormai lo so) sostituirsi alla mamma che con dolcezza e pazienza tutto può e tutto risolve. Gli poggio una mano sulla spalla. Nessuna reazione. “Senta”, mi dice ad un tratto, “sia chiaro che alla fine io le pagherò il “disturbo” (disturbo: dice proprio così), ma vorrei solo parlare”. Capitano anche i tipi così, lo so. Vabbè, sentiamo cosa avrà da dire l’esimio professor Dalbon (che mi piace assai). “Vede” (rigorosamente del “lei”) mi dice, “io ho un cruccio che mi tormenta da qualche tempo. Avrei voluto parlarne con un amico ma mi sono reso conto che di veri amici, quelli che ti stanno ad ascoltare e magari ti consigliano non ne ho. Allora chi? Un collega? Quando mai! Approfitterebbero della situazione per scopi loro, perché vede, io sono un professore universitario” (questo lo so ma non glielo dico certo) “che sì è pazzamente invaghito, oserei dire innamorato, di una sua studentessa. Capisce perché devo evitare i colleghi? E sono sposato ad una donna meravigliosa che non merita, qualora ci fosse, un tradimento. Allora mi sono detto: una prostituta. Il suo numero me lo ha dato quasi per scherzo tempo fa un conoscente, che strizzandomi l’occhio mi ha detto tieni…volessi mai trasgredire almeno una volta. In effetti non sono un frequentatore di tali categorie di persone, con tutto il rispetto, ma so, un po’ per via della materia che insegno e un po’ per la vita così com’è, che nella stragrande maggioranza dei casi tali donne hanno un animo nobile, vuoi per tutte le frequentazioni maschili, anche se prezzolate, vuoi perché profonde, alla lunga, conoscitrici dell’animo maschile. E allora ho cercato il suo numero. E’ per questo che sono quindi adesso qui da lei. Per un consiglio. Vede”, continua tormentando il bicchiere come a volerlo strangolare,” io ho cinquantuno anni, sono una persona stimata nell’ambiente e nella vita. Ho una moglie che mi ama e due figli ormai grandi. Mai in vita mia mi era successo di distrarmi dalla mia routine, da quello che faccio, dal mio lavoro che tutto sommato amo. Poi è arrivata lei. Un viso acqua e sapone, un corpicino niente male, due grandi occhi dietro le lenti degli occhiali che la rendono ancora più desiderabile. I capelli corti come piacciono a me. Certo, potrebbe essere mia figlia, ma che colpa posso imputarmi se mi è piaciuta dal primo momento? Frequenta il mio corso e ho avuto modo di scoprire che è anche molto intelligente. Sono certo che si laureerà a pieni voti. Insomma, mi è entrata nel sangue e io non ci dormo la notte”. A questo punto mi è sorto un dubbio che ho voluto dirimere. Volevo sapere chi fosse la ragazza in questione. Alla mia domanda il professore rispose che costei si chiama Giulia. Giulia Podda. Cazzo! Giulia Podda sono io. Che fare? Disfarsi della parrucca, del trucco, delle lenti a contatto, mettersi un paio di jeans, una maglia e buttarsi tra le sue braccia dicendogli “eccomi, sono io , sono tua, anche tu mi piaci da morire”? O continuare ad essere Giulia 2 e dispensare quel consiglio che era stato richiesto? L’unica cosa che riuscii a dire fu: “Non pregiudichi il suo mondo, la sua vita, i suoi affetti, il suo lavoro per una cosa che potrebbe solo rivelarsi un fuoco di paglia. Tratti questa Giulia Podda da studentessa quale in effetti è. E se davvero le piace così tanto, se davvero la desidera, le faccia un regalo: la faccia felice dicendole che apprezza la sua dedizione allo studio e in lei troverà sempre il professore su cui potrà contare”. Il professor Dalbon è rimasto un attimo spiazzato. Si è alzato dal divano che ormai lo aveva inglobato come parte di esso e mi ha detto semplicemente: “Grazie. Quanto ti devo per questa chiacchierata Giulia?" (immagini prese dal web)


Domenico Macrì


Ogni riferimento a fatti, cose o persone è puramente casuale.

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