Ecco un altro dei cari ricordi del mio caro amico Mimmo Macrì ( nella foto ), sempre piacevoli a leggersi. Ringrazio Mimmo per l'autozizzazione datami per pubblicare le sue storie. Grazie.
Il mese era quello di giugno del millenovecentosettantaquattro, e noi tutti pressocchè ventenni, ci eravamo autoreclusi in una casetta di proprietà di Gabriella in quel di Gaby in valle di Gressoney con l'intento di ammazzarci di studio in vista dei prossimi esami di maturità.L'orario che ci eravamo imposti comprendeva la sveglia alle sette e mezza, colazione, abluzioni varie, e inizio dello studio alle otto e mezzo. A metà mattina una pausa per un caffè e poi di nuovo a darci giù di studio fino a mezzogiorno.

A quell'ora io ero addetto alla preparazione del tavolo, Gabriella ai fornelli, Lidia avrebbe rassettato e Fulvio lavato i piatti. Era un'incombenza a cui ognuno si adattava con piacere anche perchè serviva a staccare un po'. Il lato meno positivo stava nel fatto che la dolce Gabriella adorava le cipolle e quindi erano molte le volte che le cucinava . Quindi zuppa di cipolle, cipolle impanate, fritte, in insalata e frittata di cipolle.E l'alito (a lei) le sapeva di rose. Incredibile. Il fatto è che le propinava anche a noi esaltando le proprietà benefiche, terapeutiche e salutari di tale ortaggio. Insomma avrebbero tonificato e rafforzato il nostro fisico (beati noi). Va detto, ad onor del vero, che ogni tanto il menù variava, più sotto la minaccia di legnate (menate a scopo assolutamente terapeutico) che per volontà di colei che si era autonominata cuoca in quel mese che trascorremmo assieme io, Lidia, Fulvio e appunto Gabriella. Dopo pranzo un' ora di sosta per poi ricominciare con lo studio con una regolarità che le ferrovie tedesche si sognano fino alle sette. Per la cena la scaletta si ripeteva. Poi un po di televisione, magari un libro (non di testo) due chiacchiere e a letto. Io e Fulvio in una camera, la ragazze nell'altra. Così per un mese intero eccezion fatta per il sabato e la domenica quando ognuno tornava al paesello per poi ripresentarsi il lunedì. Fu verso le tre di un pomeriggio di un giorno qualunque che Fulvio dovette tornare a Ivrea, dove risiedeva, per delle sue questioni assolutamenta improrogabili e Gabriella, che stava pure lei a Ivrea scese con lui per andare a trovare sua nonna ricoverata in ospedale. Sarebbero rientrati il mattino dopo. Ci ritrovammo quindi soli io e Lidia che approfittammo immediatamente della loro assenza per sdraiarci in giardino a prendere un po' di sole. Quella sera ci pensò Lidia a preparare cena(senza cipolle) e io feci tutto il resto.

Era strano quello stare da soli. Nel senso che quando la compagnia è formata da più persone, se uno ad esempio non parla, c'è sempre qulcun altro che lo fa per lui e la conversazione non langue in quanto inevitabilmente vieni trascinato dentro. Va detto inoltre che tra Lidia e me correva molta simpatia, amicizia e confidenza che si erano consolidate negli anni di scuola trascorsi assieme. E c'era anche tanto affetto che più di una volta ci aveva portato a parlare ognuno dei propri problemi e dei propri fidanzati/e. Insomma ci volevamo bene. Ma c'era qualcosa in più: ci "attiravamo" anche, guidati da una strana malia che forse avrebbe potuto addivenire a qualcosa di meno platonico se solo le circostanze lo avessero permesso. Quella sera, espletate le funzioni di rito, uno strano silenzio aleggiava. Sembrava quasi fossimo due sconosciuti che per un motivo qualsiasi si fossero trovati nello stesso luogo. C'era un'aria strana e indefinibile e nessuno dei due sembrava non volesse far nulla affinchè tutto tornasse nella normalità del quotidiano vivere, quasi che consci che le circostanze di cui sopra adesso c'erano (anche se solo per una notte) nessuno dei due voleva o si sentiva di fare il primo passo.Tutte le chiacchiere e le discussioni fatte nei mesi e negli anni precedenti adesso non trovavano la via dell'ugola per trasformarsi in parole. Vabbè, dopo un po' di televisione fui io dire per primo che me ne sarei andato a dormire.Buonanotte, buonanotte e me ne andai in camera dove a letto e con un libro aperto davanti aspettavo che il sonno arrivasse. Che però non arrivava. Arrivò, poco dopo, però Lidia che si infilò sotto le coperte, mi abbracciò, mi diede un bacio sulla guancia e mi chiese se poteva dormire lì.

A quel punto le parole non dette durante la serata affiorarono e presero corpo e parlando ci rendemmo conto che se quella notte avessimo sancito che l'amor platonico doveva sfociare in un puro atto fisico, le cose tra noi avrebbero preso un altro corso e sicuramente non saremmo più rimasti amici. Per non citare il senso di colpa (più lei che io a dirla tutta) che ci avrebbe assalito. Allora parlammo a lungo come due vecchi compari davanti a un fiasco di vino (i compari naturalmente) ridendo anche di noi. Poi ormai a notte fonda ricambiai il bacio, le diedi una carezza, l'abbracciai e ci addormentammo del sonno dei giusti. Entrambi sapevamo che le parole dette quella notte non dovevano mai più essere pronunciate. Quando il mattino dopo rientrarono Gabriella e Fulvio, noi due con la faccia sbattuta dalle poche ore di sonno, ci stavamo bevendo un caffè. Scommetterei ancora oggi che pensarono, vedendo le nostre facce assonnate, che qualcosa fosse successo, ma non osarono chiedere. Invece non era successo niente. Semplicemente la notte prima ci eravamo addormentati uno nelle braccia dell'altra pur sapendo che sarebbe bastato poco per far accadere quello che non successe. E tutto sarebbe cambiato e noi non lo volevamo. Volevamo solamente restare amici e quella fu la prova che lo sancì. A questo punto i più cinici potranno obiettare che ogni lasciata è persa. Può darsi che sia vero. Forse anch'io oggi, certamente più disincantato di allora, posso pensarla così. Ma allora, per aggiungere una nota malinconica, i valori erano per la mia generazioni molto più veri. Magari perchè pensavamo che avremmo potuto e dovuto cambiare il mondo, per poi renderci amaramente conto che il mondo se n'è assolutamente fregato di noi. Ma noi ci credevamo.
Per la conaca l'esame lo passammo tutti e quattro a pieni voti. (immagini prese dal web)
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