Il mio amico Mimmo continua imperterrito nei suoi piacevoli ricordi di gioventù, a qualcuno dei quali sono stato partecipe anche io nei lontanissimi anni 70.
Di cognome si chiamava Natale. E fin qui nulla da obiettare. Se non che di nome faceva Felice (quando la crudeltà mentale dei genitori supera ogni limite...). Felice Natale era un mio compagno di scuola ai tempi delle superiori in quel di Ivrea e più specificamente all'allora Istituto Tecnico per Geometri G. Cena sito in via Vermondo Arborio (tutto uno scioglilingua). Il Natale oltre che portare quel nome che dava adito a meschini sfottò, era anche di una incredibile bruttezza. Non superava il metro e mezzo di altezza, era praticamente privo del mento, aveva un occhio che guardava a est e uno a ovest, un naso enorme e aquilino e, ciliegina sulla torta, la gobba tipo Andreotti, tanto che venne subito ribattezzato "angolo retto". In più era cattivo come la merda...(e vorrei vedere voi). Però aveva un dono eccezionale: un'intelligenza fuori dal comune e una capacità di apprendimento che gli consentiva di incamerare immediatamente le lezioni dei vari insegnanti. Dopodichè gli bastava una rapidissima scorsa al libro di testo per non temere alcuna interrogazione.

Chiaramente Fulvio, Pippo ed io che sedevamo nell'ultima fila di banchi in virtù del fatto che eravamo asinamente ripetenti e quei posti ci spettavano di diritto o conquistati con minacce di vario genere, senza che nessuno obiettasse, pensando di essere al sicuro dallo sguardo dei professori e poter quindi cazzeggiare in tutta libertà, eravamo bastardamente invidiosi di quel mostriciattolo che tutto sapeva. Ma non era solo inviso a noi il Natale. No no: lo era a tutto il resto della classe comprese le sei ragazze che di norma, è risaputo, sono più studiose dei maschi. Quando durante i famigerati compiti in classe, di qualunque materia si trattasse, i nostri cervelli collassavano, il Natale si alzava dopo ben meno delle classiche due ore di tempo concesse allo svolgimento del compito e consegnava, il maledetto, il suo testo redatto di tutto punto e chiaramente perfetto. E a nulla servivano i nostri sguardi compassionevoli a lui rivolti nella speranza di un suggerimento, che puntualmente non arrivava, per poter ottenere almeno un sei meno meno. No. Non c'era verso. Qualcuno arrivò persino a proporgli dei soldi, ma niente. Se avessero avuto meno pudori o fossero state più disinibite le ragazze addirittura gli si sarebbero prostituite. Ma anche lì, zero. Bastardo fino nell'anima. Quando arrivò il mese di febbraio fece la sua comparsa nella nostra classe una ragazza il cui padre era stato trasferito da Milano a dirigere un reparto dell'Olivetti(che all'epoca girava a tutto regime). Angela. Di nome e di fatto. Era bellissima, bionda, alta, occhi azzurri, ogni attributo al proprio posto. Inutile dire che tutti i ragazzi se ne innamorarono seduta stante, e le ragazze cercarono in lei difetti assolutamente introvabili. Pura invidia. Insomma se con Natale il destino si era malignamente accanito, con lei aveva assoldato i più bravi pittori e scultori che concepissero e realizzassero il "capolavoro". Se pur dissimile a livello fisico in maniera fin troppo evidente da "angolo retto" la bella Angela aveva però una cosa in comune col gobbo: era stronzissima e non dava confidenza a nessuno tanto che le"avances" di noi maschi finivano nel suo personale cestino. Però era intelligente e studiosa. Succedeva, essendo quello l'ultimo anno di scuola e in vista dell'esame di stato, che mi fermassi più pomeriggi a casa di Fulvio che stava a Burolo, quindi a pochi chilometri dall'istituto, per studiare con lui. Se poi si tirava per le lunghe mi fermavo oltre che a cena anche a dormire da lui. Sua mamma mi aveva praticamente adottato. Fu una di queste sere, a primavera inoltrata, che uscendo di casa per fare due passi e bere un caffè notammo, seduti a un tavolino all'aperto piuttosto defilato del bar in cui eravamo, una coppia, secondo noi, male assortita. Lui era un tracagnotto brutto come la morte e lei una dea. Lui era Felice Natale detto "angolo retto" e bastardo fino nell'anima e stava teneramente tenendo tra le sue le mani di lei: Angela creatura perfetta.
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E sicuramente, vista la vicinanza corporea, lui le stava sussurrando frasi melensamente amorose. Ma di queste parole non udimmo verbo in quanto un po' distanti e volutamente occultati come due spie del KGB. Hai capito? ci dicemmo con gli occhi Fulvio ed io. E non era nemmeno il caso di citare il proverbio che recita "chi si somiglia si piglia" perchè più differenti di quei due c'erano solo il giorno e la notte o il diavolo e l'acqua santa. Convenimmo però che la stronzaggine, la bastardaggine e la cattiveria si erano uniti in quel connubio inguardabile. Questa era la sola unica e logica conclusione per cui i due avessero trovato un punto in comune. E stavolta il proverbio ci stava. Giurammo l'un l'altro che mai avremmo fatto parola di quanto visto. Soprattutto per non dare in pasto una notizia che avrebbe fatto guadagnare punti al gobbo. Bastardo era e bastardo doveva rimanere agli occhi di tutti. E qui i bastardi fummo (volutamente) noi.Per la cronaca quell'anno passammo gli esami. Fulvio ed io partimmo per una vacanza assieme e al nostro ritorno abbiamo saputo che Felice Natale detto "angolo retto" aveva scaricato Angela la dea perche', a quanto pare, non la riteneva alla sua "altezza.....che dire....
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