Il mio amico Mimmo con un'altro bellissimo racconto.
Pietro Barca (Petrin per gli amici)
Di
professione faceva il ladro (sfigato). Di lui ho già avuto modo di parlare per cui è possibile che qualcuno, almeno di fama, già lo conosca. Abita sulla riviera romagnola e ha sessantacinque anni, età per cui se smettesse di darsi ai furti trarrebbe sicuramente giovamento. Ma l’amore per la professione (nonchè il sacrosanto diritto di sfamarsi) è più forte di qualsiasi altra cosa. E poi ce l’ha nel sangue. Ladro suo nonno, ladro suo padre, non poteva certo lui tradire questa “missione”. Era fine settembre e alberghi e case di vacanza della riviera si erano ormai spopolati. Da un po’ il Petrin teneva sott’occhio una villetta posizionata leggermente fuori mano rispetto al centro e assicuratosi che i proprietari avevano lasciato il luogo per tornare alle loro abitazioni cittadine mise in atto il suo piano che consisteva, inutile dirlo, nell’introdursi nottetempo in tale abitazione passando dal balcone che era facilmente scavalcabile, forzare un’anta, entrare e arraffare quanta più roba potesse per poi rivenderla e magari (chi lo sa) sistemarsi, qualora il bottino fosse stato cospicuo, per l’inverno.
Così fece, la prima notte senza luna. Armato dei ferri del mestiere che consistevano in piede di porco, cacciaviti vari, grimaldelli e ogni altra utensileria confacente allo scopo, scavalcò (va detto: non tanto agilmente per via dell’età e della pancia ricettacolo di grandi bevute di birra e altrettante copiose libagioni) la ringhiera del balcone, che per fortuna sua era a solo mezzo metro da terra.

Col piede di porco forzò l’anta, col diamante tagliavetro incise un foro in corrispondenza della maniglia, ci infilò la mano dentro e, come per incanto, fu all’interno dell’alloggio. Estrasse dalla tasca una pila e si mise alla ricerca di quello che avrebbe potuto infilare nel sacco che si era portato appresso.
La lama di luce spaziava a destra e sinistra, in alto e in basso inquadrando ora un mobile ora un tappeto ora un divano. Normale. Una casa è composta da tali cose. Ma non poteva certo rubare un divano o un mobile. A parte la difficoltà logistica di portarsi appresso (era venuto in bici) tali ingombranti pezzi, di sicuro non avrebbe tirato su molto dal loro effettivo valore. Argenteria, ori, orologi a muro, suppellettili costose, magari vasi di un certo pregio e perché no soldi dimenticati, questo era quello che lo interessava. Mentre faceva lentamente il giro della casa illuminando qua e la’ sentì, nell’assoluto silenzio in cui era immerso, un lieve, lievissimo rantolo. Subito si spaventò credendo che tale luogo non fosse ancora del tutto disabitato, poi però, quando capì che tale suono non era prodotto da essere umano, ma vattelapesca da chissà che, ne cercò la fonte. E lo vide. Un gatto. Neanche: un piccolo micio che se ne stava sdraiato in terra, non certo dimenticato dai proprietari ma sicuramente introdottosi furtivamente (un po’ come lui) proprio durante le operazioni di chiusura della casa e invisibile ai villeggianti e, per sua sfortuna al termine della partenza di costoro, rimasto chiuso dentro. Un micio che dopo qualche giorno di digiuno di fame e sete aveva quasi del tutto perso le forze e sicuramente sarebbe morto per essere poi ritrovato, tra grida di disgusto e raccapriccio, l’anno successivo alla estiva riapertura dell’abitazione. Pietro Barca (Petrin per gli amici) era sì un ladro e quindi un criminale ma aveva un cuore grande così. E una cosa amava: gli animali. Li considerava migliori degli uomini (e non sbagliava). Mai avrebbe potuto far del male a un animale di qualunque genere. Illuminato dalla pila il gatto che era la fonte di quello strano suono udito poco prima appariva più morto che vivo e solo forse la speranza di essere udito da qualcuno gli aveva permesso di lanciare quell’ultimo, strozzato lamento augurandosi così di essere salvato (va a sapere cosa pensano i gatti). Petrin non ci pensò un attimo. Molto cautamente, con tutta la cura di cui era capace e cercando di non far del male all’animale, lo prese sulle sue enormi mani, lo adagiò sul sacco che aveva ripiegato e percorrendo a ritroso il sentiero che lo aveva portato a tale scoperta, uscì, adagiò il sacco col suo contenuto felino dentro il cestino della bici e cominciò a pedalare verso casa. Quando , arrivato alla sua abitazione, sua moglie gli chiese come fosse andata e se il bottino era rilevante, il Petrin le mostrò il maltolto. Eccolo il bottino: un micio. La Maria (sua moglie) non disse nulla. Solo guardò colui che tanti anni prima aveva sposato con la di lui promessa di farla vivere da regina, scosse di qua e di la’ la testa come a dire sei proprio scemo, prese dalle sue mani il fagotto peloso e amorevolmente gli passò uno straccio bagnato sul muso, poi, col contagocce gli versò nella bocca un po’ d’acqua e aspettò. Anche lei amava gli animali e soprattutto (fortuna) i gatti. Dopo un’ora il micio era rinato e allora un po’ di latte completò l’opera di resurrezione. Addirittura micio ebbe la forza di rizzarsi sulle zampe e di guardarsi intorno. A notte fonda, nel letto in cui si erano alla fine coricati, i coniugi Barca sentirono che il micio era salito sulle coperte, si era accoccolato in mezzo ai due e aveva cominciato a fare le fusa. Bisognerà magari dargli un nome, disse Petrin. Già, rispose la Maria. Ma adesso dormi che è tardi. (immagine presa dal web)
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