venerdì 5 dicembre 2014

Pietro Barca "Babbo Natale"

Un'altra avventura dello sfigatissimo Pietro Barca (Petrin per gli amici) scritta dal caro amico Domenico "Mimmo" Macrì da Saint Vincent (AO) 


 Eppure c’era. Doveva esserci e doveva necessariamente essere lì. Magari dentro qualche scatola infilata in chissà quale scaffale. O magari gettata alla rinfusa lì in quei pochi metri quadrati di quella disordinatissima cantina, che, se lo era detto mille volte, prima o poi doveva ripulire ma va da se che ogni oggetto che deve essere destinato alla discarica prima transita di lì. Se lo ricordava bene che sua moglie, dopo averlo ripiegato per bene perché non si sa mai che potrebbe nuovamente tornare utile ( se, sta cippa) lo aveva riposto lì. Anzi ora si rivedeva addirittura addobbato in un vestito rosso, con tanto di berretto ornato da finta pelliccia bianca come i bordi della giacca. E quella assurda barba posticcia che lo faceva starnutire ogni volta che un pelo gli sfiorava il naso. Ma aveva dovuto soccombere e fare una sorpresa ai e per amore dei nipoti ( i figli dei figli delle sorelle di sua moglie) che tanto ci tenevano a vedere un Babbo Natale in carne e ossa e regali dentro il sacco. Insomma era toccata a lui quella carnevalata che comunque aveva sortito il suo effetto, va detto, visto lo stupore dei bambini al suo ingresso in sala da pranzo dopo cena, a cui partecipava tutto il parentado, la sera di Natale di qualche anno prima. Un attore consumato. Finché l’occhio gli cadde sulla feritoia di una scatola da cui si intravedeva qualcosa di rosso. Era lui. Il vestito da Babbo Natale. Quello che gli sarebbe servito per compiere uno dei più audaci furti che la cronaca potesse ricordare. L’idea a Pietro Barca (Petrin per gli amici) ladro di professione (ma onesto eh?, mai avrebbe rubato qualcosa ad un povero diavolo) e anche, va detto, un po’ sfigato, gli era venuta quando, verso i primi di dicembre, passeggiando, aveva alzato gli occhi verso una palazzina di buona costruzione (diciamo chic) e aveva visto, aggrappati ad una corda attaccata alla ringhiera del balcone dell’alloggio del secondo piano, una serie di “Babbinatale” (chiaramente di pezza) che sembrava volessero arrampicarsi per andare solo loro sapevano dove. E pure un po’ in anticipo. I neuroni del Barca (Petrin per gli amici) furono scossi da un fremito fulmineo e si misero a funzionare tutti assieme. Primo: se non andava errato quella era la palazzina in cui risiedeva, nell’attico, il notaio Prinelli Evaristo. Secondo: era noto all’universo creato che tutti gli anni che il Signore mandava in terra, il notaio, più per compiacere la moglie che non per sé stesso vista la micragnosità che lo contraddistingueva, verso metà dicembre chiudeva studio e, consorte al seguito, se ne partiva per la montagna a passare Natale, Capodanno e Epifania dalla cognata che aveva casa a Courmayeur (un bel cinquecento chilometri lontano), per rientrare poi a feste finite. Terzo: si sapeva ovunque dell’enorme ricchezza del notaio e di conseguenza chissà quali tesori giacevano in casa sua. Quarto: sei mio. Sollevò con mani tremanti il coperchio della scatola che manco avesse sfregato la lampada di Aladino e sotto i suoi occhi comparve, ben ripiegato, il costume “babbonatalizio” rosso fuoco. Ora si trattava solo di elaborare il piano. E la mente criminale del Petrin si mise all’opera. Sperando solo che, visti i chili in più che il suo corpaccione aveva assimilato negli anni, gli indumenti non si rifiutassero di vestirlo. Qualche altra passeggiatina di ricognizione e il piano era bello che congegnato. Si trattava, in poca sostanza, di montare a cavalcioni della bici cui aveva agganciato un artigianale carretto costruito con le sue proprie mani (il Petrin era privo della patente) entro cui mettere la refurtiva, arrivare sul luogo del misfatto, lanciare un arpione legato ad una lunga e robusta corda a cui ogni cinquanta centimetri avrebbe fatto dei nodi che agevolassero la risalita, facendo in modo che questo si agganciasse alla ringhiera del ballatoio dell’attico, arrampicarsi (e qui qualche ostacolo già lo prevedeva) lungo la fune, arrivare in loco del crimine, scassinare una tapparella e, dulcis in fundo, entrare nell’appartamento arraffando tutto quello che si poteva arraffare, riporlo nel sacco che avrebbe avuto con se e ridiscendere dalla stessa via. Il tutto chiaramente sotto le mentite spoglie di Babbo Natale. E appunto in tali mentite spoglie confidava il nostro qualora qualcuno avesse indirizzato il proprio sguardo verso la palazzina. Quel qualcuno altro non avrebbe visto che il solito Babbo natale che si arrampica, magari un po’ più in carne ma sarebbe bastato restare immobili e il gioco era fatto. Fantastico. Ma quanto sei furbo? si chiese. La sera prevista per il lavoro aveva stabilito fosse quella del ventiquattro, un po’ per evitare che magari non sia mai gli avessero chiesto di ripetere la performance di qualche anno prima e un po’ perché confidava nel fatto che quella sera gli altri abitanti il palazzo fossero davanti al tavolo ad ingozzarsi come tradizione vuole. A sua moglie, che fortunatamente quella vigilia di Natale non aveva invitato nessuno per cena, che lo vide uscire dopo mangiato conciato come un turista tedesco espostosi troppo al sole estivo, molto beatamente disse che quella sera sia lui che gli amici avevano deciso di festeggiare il Natale conciati tutti proprio così, da Babbinatale appunto e sai le risate. Chissà se gli credette. Ma “donna in casa i pantaloni li porto io e faccio quello che voglio”. E uscì, prese la bici con tanto di appendice e s’involò lui sapeva dove. Giunto in loco nascose il mezzo dietro una siepe lì vicino e quatto quatto, sacco in spalla e corda arpionata in mano si posizionò nel miglior modo possibile all’uopo. Fece roteare un po’ la corda e la lanciò avendo il culo di vedere l’arpione che immediatamente (e al primo tentativo) si agganciava al ferro della ringhiera. Bene e ora su si disse sputandosi sulle mani. Non fu cosa facile far salire quasi cento chili per circa dieci metri a forza di braccia ma la volontà e la grinta che ci mise lo ricompensarono. Arrivato sul balcone si premiò con una sigaretta, poi diede inizio alle danze scassinando la tapparella, forzando la finestra e entrando nella stanza del tesoro. Accese la torcia. Ciò che vide, anzi, non vide, lo lasciò di stucco: la stanza e non solo quella, perché volle sincerarsi di ciò che stava vivendo esplorando tutta casa, era desolatamente vuota. Il vuoto più totale. Il nulla. L’unica cosa che vide fu un cartello bello grosso, sul pavimento, che sicuramente avrebbe dovuto essere poi esposto all’esterno su cui capeggiavano a caratteri cubitali lettere che formavano la parola “VENDESI”. Quel poco di dignità che gli era rimasta gli impedì di piangere e solo perché era la vigilia di Natale lasciò tutti i santi del paradiso al loro posto. Col magone tornò al ballatoio, scavalcò la ringhiera, si afferrò alla corda e ridiscese. Col magone si accese ancora una sigaretta. Col magone si avviò verso la bicicletta e quando fu nei pressi pensò che al posto della siepe avessero posizionato uno specchio perché gli sembrò di vedere la sua immagine che, proprio come in uno specchio, gli veniva incontro. Invece no. Quello che gli veniva incontro era un uomo anch’egli travestito da Babbo Natale e quando furono a due passi uno dall’altro, molto cortesemente si scambiarono un imbarazzato “buonasera” accompagnato da un “Buon Natale”. Poi ognuno sui propri passi. Indietro sui suoi passi invece tornò il secondo Babb onatale e raggiunto “Babbonatalepetrin” ad alta voce chiamò: “Pietro Barca!” Se gli avessero sparato il Petrin sarebbe stato meno immobile. Perché conosceva quella voce. Il maresciallo Poddu, comandante la locale stazione dei carabinieri, sbirro nato e quindi abituato a notare ciò che altri non vedevano, dopo aver elaborato per un attimo quell’incontro, immediatamente si rese conto chi fosse il suo improbabile omologo. Il Barca, appunto. E che ci faceva il Barca lì? Non era certo andato, come invece aveva dovuto fare lui vestendosi da Babbo natale per far piacere alla moglie e portare i regali ai bambini della sorella che abitavano proprio li vicino, a fare della beneficenza. “Barca mi spiega che ci fa qua per piacere?” Il povero Petrin già di suo abbacchiato e avendo per l’appunto riconosciuto in Babbo secondo il maresciallo, non disse nulla e si limitò ad allargare le braccia e chinare il capo. Mancava solo che gli porgesse i polsi da ammanettare. Pur se natalmente vestito il maresciallo restava comunque uomo di legge e in servizio, come da regolamento, ventiquattr’ore su ventiquattro, ordinò al Barca di seguirlo onde verificare assieme a lui se la presenza in loco del malfattore avesse recato danno. Davanti alla corda che ancora penzolava dall’attico e che il Petrin non si era nemmeno dato voglia di sganciare tanta era la delusione, il milite capì. “ Vuoto eh?” “ Vuotissimo”” “ Ma proprio niente niente niente? “ “ Gliel’ho detto….niente “ “ Ma non lo sapeva? “ “ Cosa? “ “ Che era in vendita . Il notaio si è trasferito. E’ normale quindi che sia vuoto “ “ No…..” Che fare? Teoricamente tentativo se pur inutile di furto c’era stato. Però nulla era stato rubato anche perché nulla c’era da rubare. Infilandosi le dita sotto la finta barba per grattarsi il mento il maresciallo non sapeva che pesci pigliare. Poi pensò che non si era mai visto un Babbo natale arrestare un suo simile. E proprio il giorno di Natale poi, visto che ormai la mezzanotte era passata. “ Senta Barca….” “ Dica maresciallo…..” “ No è che…..vabbè…..buonanotte Barca….e Buon Natale”.

 Domenico Macrì 

 Ogni riferimento a cose, fatti o persone è puramente casuale.

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